La mia tavola è blu: la pesca illegale

Continua il viaggio della nostra rubrica dedicata ai temi del cibo, del mare e della sostenibilità.

Il mare ha da sempre dato un contributo fondamentale al sostentamento delle comunità costiere, e tuttora il 12% della popolazione mondiale dipende dalla pesca e dall’acquacoltura, un dato che riguarda soprattutto i paesi in via di sviluppo.

Il mare e gli oceani giocano un ruolo importante anche nell’equilibrio e nella salute del nostro pianeta.

Le acque salate ricoprono il 71% della superficie terreste, ospitano circa l’80% delle specie viventi, tra cui la Posidonia, che trasforma l’anidride carbonica in ossigeno tramite la fotosintesi clorofilliana.
Inoltre, l’oceano regola il clima, assorbendo il 90% del calore terrestre e il 25% di anidride carbonica.

Purtroppo, però, la gestione delle sue risorse è malsana: il 30% degli stock ittici è sovrasfruttato o in fase di ricostruzione. Sono dati che sconfortano, soprattutto se incrociati con le pratiche aggressive ed illegali che li generano.
La pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata (INN), ha gravi implicazioni ambientali, sociali ed economiche – secondo la FAO, un pesce pescato su cinque proviene da questa pratica. Possiamo definirla una piaga all’interno di un meccanismo che cerca di evolversi verso la sostenibilità.

Fortunatamente, nell’ultima edizione del resoconto annuale “Stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero”, a cura di FAO e Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (GFCM), è stata registrata una diminuzione dello sfruttamento eccessivo delle risorse, soprattutto in riferimento alle specie più importanti: la sogliola dell’Adriatico e il nasello europeo.

Prima di rallegrarci, dobbiamo ricordarci che il 73% delle specie commerciali è ancora fortemente stressato dalla pesca eccessiva, e che il pescato annuo, pur essendo diminuito nel tempo, ammonta ancora al doppio del volume sostenibile stimato.
Chiaramente, il mercato ittico genera introiti considerevoli, la sola pesca raggiunge i 2,9 miliardi di dollari annui, per oltre mezzo milione di posti di lavoro stimati lungo tutta la catena di valore. Nelle zone costiere, un abitante su 1000 abitanti è un pescatore, ma il dato può arrivare a dieci volte tanto.

Oggi, la pesca si avvale di grandi navi, dotate di attrezzature sofisticate, con reti per la cattura che arrivano anche a 600 metri di lunghezza. Il tonno, il pesce spada e merluzzo stanno scomparendo a causa dell’eccessiva cattura. A questo si aggiunge il fenomeno delle catture accessorie (il cosiddetto by-catch), di cui sono vittime specie senza alcun valore commerciale, come gli squali e le tartarughe.
Non mancano nemmeno le attrezzature da pesca abbandonate o perse che sono responsabili di altre catture (o ghost fishing) – altro fenomeno altamente distruttivo per l’ambiente marino, che danneggiano anche specie in via di estinzione; non solo, le stesse attrezzature possono impigliarsi nelle eliche delle navi, causando ulteriori danni e persino morti accidentali.

Tornando ai pescherecci sofisticati, l’esempio più eclatante è la pesca a strascico, un metodo che consiste nel trainare un’enorme rete da pesca sul fondo del mare, distruggendo collateralmente l’habitat e producendo tantissimo by-catch (alghe ed esemplari sotto taglia, ad esempio). L’ambiente marino ne risulta squassato, soprattutto quando si utilizza la tecnica in acque poco profonde, e perché venga ripristinato sono necessari anni.

Colpito dalla diffusione di questa tecnica, il Mediterraneo versa in condizioni più gravi di prima, complici riscaldamento globale e spopolamento dei mari.

La ricerca di un cambio di rotta verso una pesca sostenibile passa necessariamente attraverso le scelte del consumatore – le nostre scelte, quindi.
Il pesce locale non implica grandi spostamenti della merce, quindi produce meno inquinamento rispetto a quello pescato in altre parti del mondo e contribuisce al sostentamento della popolazione locale.

Bisogna quindi difendere la pesca artigianale che generalmente ha tecniche di cattura che impattano meno su fondali e habitat marini, garantendo una maggiore selettività nel rispetto delle tradizioni e dell’economia del luogo.

Un altro passo importante è di non gravare ulteriormente sulle specie troppo sfruttate. Tra queste ricordiamo: salmone, tonno rosso, gambero tropicale allevato, pesce spada, bianchetto (anche esemplari giovani), dattero di mare.

Esistono molti pesci poco conosciuti, chiamati specie neglette, che costano meno, garantiscono sapore e qualità nutrizionali ottime e che sono, in ultimo, più sostenibili. Lo sgombro è una di queste, e ci sono poi la palamita, il pagello, la sarda, il pesce serra, l’aguglia e l’alaccia. Anche i molluschi allevati, che non si nutrono di altri pesci ma dalla filtrazione dell’acqua, sono un’opzione più sostenibile.

La taglia minima di un esemplare è un altro criterio di selezione – i pesci di dimensioni troppo ridotte non hanno avuto il tempo di riprodursi, e quindi di recuperare il soprannumero pescato.
Infatti, la sovrapesca (dall’inglese overfishing) indica una pesca eccessiva che non lascia in acqua abbastanza esemplari da permettere la riproduzione.

Qui sotto, alcuni esempi per farci un’idea più chiara di questa taglia minima.

PESCI:
– sogliola, 20 cm
– sgombro, 18 cm
– cernia, 45 cm
– spigola o branzino, 25cm
– sardina, 11 cm
-orata, 20 cm
– tonno rosso 30 kg, 15 cm (resta comunque sovrasfruttato)
– palamita, 25 cm

CROSTACEI:
-astice 30 cm (lunghezza totale), 10,5 (lunghezza testa)
-aragoste, 9 cm (testa)
– gambero rosa Mediterraneo, 2 cm (testa)
-scampo, 7 cm (totale), 2 cm (testa)

Altrettanto importante è il ciclo vitale dei pesci, bisogna rivolgere le nostre scelte verso quelli che hanno un ciclo di vita abbastanza breve da aver avuto almeno un ciclo riproduttivo. Tra questi ricordiamo: acciuga, sardina, aringa, aguglia, palamita, ecc.

FONTI:
www.fao.org
www.guardiacostiera.gov.it
www.slowfood.it

Scrive per noi

Michela Pezzali
Michela Pezzali
Dietista, laureata all'Università Sapienza di Roma, aiuta le persone nella ricerca della salute e dell'armonia a tavola. Ha realizzato diversi progetti legati alle famiglie, in particolare alle mamme, per risolvere i piccoli e grandi problemi legati alla gestione dell'alimentazione dei bambini e collabora con diverse riviste e associazioni di genitori. Le tematiche ambientali sono al centro dei suoi lavori più recenti.

Michela Pezzali

Dietista, laureata all'Università Sapienza di Roma, aiuta le persone nella ricerca della salute e dell'armonia a tavola. Ha realizzato diversi progetti legati alle famiglie, in particolare alle mamme, per risolvere i piccoli e grandi problemi legati alla gestione dell'alimentazione dei bambini e collabora con diverse riviste e associazioni di genitori. Le tematiche ambientali sono al centro dei suoi lavori più recenti.

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