BLUE DROPS nr2 – marzo 2022

Nuova rassegna di BLUE DROPS, la raccolta delle news internazionali di Pianeta Azzurro selezionata da Andrea Puglisi.

Estinzione di massa. Dietro il suono nefasto e lo scenario apocalittico evocato da questa espressione, si celano parametri scientifici abbastanza stringenti. Si tratta di un momento geologico in cui gli equilibri fisici e chimici del pianeta cambiano radicalmente, causando la rapida scomparsa di un’alta percentuale delle specie animali e vegetali. Uno sconvolgente battito di ciglia geologico.

Earthsky“: A quanto ne sappiamo, la vita sul nostro pianeta ha già attraversato cinque estinzioni di massa. La più antica di cui si abbia traccia è quella del tardo Ordoviciano (444 milioni di anni fa), la più recente e famosa è invece quella del Cretaceo (66 milioni), che ha portato all’estinzione dei grandi dinosauri non aviani.

A dare il via a questi passaggi epocali sono spesso eventi traumatici, come l’impatto di un asteroide o un’eruzione vulcanica di dimensioni catastrofiche, con conseguenze del calibro di un’era glaciale. Rapido cambio delle temperature globali, acidificazione delle acque e formazione di estese zone ipossiche nelle stesse, giocano quasi sempre un ruolo fondamentale.

Il ventunesimo secolo ha visto emergere la consapevolezza, da parte della comunità scientifica, di una probabile sesta estinzione di massa, causata (o comunque catalizzata) dall’essere umano, la nuova specie dominante dopo l’apocalisse dei terribili rettili. R. Leakey, La sesta estinzione di massa (Bollati-Boringhieri, 2015), viene pubblicato in lingua originale nel 1996.

Studiare un fenomeno di portata globale non è compito semplice, ancor meno lo è arrivare ad un parere unanime della comunità scientifica. Mentre si accumulano prove e il campanello d’allarme si fa più distinto, i dibattiti fra diverse scuole di pensiero continuano. Comunque la si voglia vedere, è certo che stiamo attraversando una crisi della biodiversità. Un milione di specie animali (se si includono nel novero anche gli invertebrati) sono oggi a rischio di estinzione. I fattori in gioco sono più o meno gli stessi menzionati sopra, ma questa volta ad attivarli è la mano vorace dell’uomo, che drena le risorse del pianeta e immette in atmosfera milioni di metri cubi di gas serra ogni anno.

Hakai Magazine“: Per quanto riguarda gli ecosistemi marini, molte specie sono a rischio per mancanza di cibo. In Sud Africa, ad esempio, la pesca industriale in zone costiere ha decimato acciughe e aringhe, facendo collassare la popolazione dei pinguini africani (Spheniscus demersus) che in cento anni passano da un milione di individui ad appena 13.000.

Il Southern African Foundation for the Conservation of Coastal Birds (SANCCOB), è il principale fra i numerosi enti che si sono attivati a protezione degli uccelli acquatici. Per ripristinare la salute della specie, però, non basta l’assistenzialismo interspecifico. Da qualche anno, la fondazione ha aperto un dialogo dai toni piuttosto vivaci con le compagnie di pesca costiera e con le istituzioni. L’obiettivo è la creazione di santuari per la fauna ittica lungo le coste sudafricane, riserve di caccia marine. La stessa cosa succede anche in California: gli sforzi per salvare la balena franca nordatlantica hanno portato le autorità a porre pesanti restrizioni sulla pesca dei crostacei. Il documentario Entangled (Netflix) mostra gli scenari umani e politici che si agitano da anni attorno agli ignari cetacei.

Mentre l’uomo combatte con l’uomo nell’eterno confronto tra profitto personale e ideale di giustizia, il pianeta muta faccia lentamente ma inesorabilmente e gli animali non rimangono a guardare. Alcuni scienziati notano che i nostri lontani parenti di tutto il mondo hanno già cominciato ad adattarsi agli sconvolgimenti climatici e chimici, facendo quello che sanno fare meglio: evolversi.

Science News“: È del 2021 la pubblicazione di Hurricane Lizards and Plastic Squid (Lucertole-uragano e calamari plastici), libro che prende in esame alcuni di questi adattamenti, come nel caso del calamaro di Humboldt, o calamaro gigante del Pacifico, che per sopravvivere in acque sempre più calde ha accorciato il suo ciclo vitale e drasticamente ridotto le sue dimensioni, arrivando al punto di essere spesso scambiato dai pescatori per un’altra specie. Come ci ricorda Thor Hanson, biologo conservazionista e autore del libro, il punto focale non sono i cambiamenti introdotti dall’uomo, ma la risposta data a questi cambiamenti da parte della biosfera.

Hakai Magazine“: Anche quando non si parla di vero e proprio adattamento, ma di semplice opportunismo, il discorso rimane lo stesso. È il caso delle piattaforme petrolifere in mare aperto, simbolo dell’abuso antropocenico ma anche potenziale rifugio di fortuna per un intero ecosistema. Nella baia di San Francisco, ad esempio, si erge una piattaforma della American Richfield Company, costruita nel 1965 e di recente dismessa. Per accordi federali, il normale iter avrebbe previsto il suo smantellamento ma gli scienziati si sono accorti che i tralicci metallici che sorreggono la struttura non sono più sterili barre erose dall’acqua: si sono fatte casa per una colonia di coralli e altri cnidari. La presenza di questi invertebrati sessili, che altrimenti non avrebbero avuto materiale solido a cui ancorarsi, attira crostacei e piccoli pesci che se ne nutrono, i quali a loro volta attirano grandi predatori come tonni e squali. Un’intera catena trofica è rinata sfruttando i vantaggi dell’antropomorfizzazione.

La natura prospera nonostante tutto, come d’altronde è successo nelle prime cinque estinzioni di massa. Questo non è tanto un incentivo a non assumerci la responsabilità delle sorti del pianeta in quanto specie dominante, ma un incoraggiamento.

Grazie alla plasticità del mondo naturale, trovare un equilibrio fra il nostro sfrenato bisogno di comfort e la salvaguardia dell’ecosistema potrebbe non essere un compito impossibile.

  • Andrea Puglisi

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