Quando pensiamo a un atollo in mezzo all’oceano, l’immagine che solitamente ne ricaviamo è quella vacanziera di ombrelloni sulla spiaggia bianca o quella naturalista di rilievi rocciosi pazientemente scavati dall’azione dell’acqua. Difficilmente ci ritroviamo a pensare alla storia politica delle nazioni che sorgono su quegli atolli, alle sfide sociali ed economiche legate all’isolamento geografico e alla furia degli elementi da cui non c’è riparo.
Eppure, in un mondo segnato dall’emergenza climatica nelle sue molteplici forme, è esattamente questo il destino delle molte Maldive e Mauritius sparse per l’idrosfera.
UNITED NATIONS: A questo proposito, la comunità internazionale ha coniato una categoria specifica per queste nazioni, rinominandole Small Island Developing States (SIDS), ovvero piccoli stati insulari in via di sviluppo. Questo accadeva nel giugno del 1992, alla conferenza sull’ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro, conosciuta anche come Summit della Terra o Conferenza di Rio.
La semplice decisione di raggruppare questi stati sotto una categoria a sé, indica già l’esistenza di problemi trasversali che li accomunano. Il più pressante e universalmente riconosciuto è con ogni probabilità l’innalzamento del livello del mare, esacerbato nel caso dei SIDS dalla conformazione geografica degli atolli, spesso pochissimi metri sopra il livello del mare. In una condizione di partenza precaria, sarebbero sufficienti pochi centimetri di dislivello per rendere inabitabili alcune isole. L’International Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite prevede in certe zone (Kiribati) un innalzamento delle acque di 20 cm circa entro il 2030. Questo scenario è ovviamente esacerbato dal dislivello prodotto dalle maree e dalle inondazioni stagionali che diventano ogni anno più distruttive. Per far fronte all’emergenza, diversi SIDS mettono in gioco diverse strategie, basandosi sull’unicità storica e geografica dei singoli arcipelaghi.
Chi ripopola le foreste di mangrovie come barriera naturale contro le inondazioni (Repubblica dominicana, SEACOLOGY), chi costruisce altopiani artificiali per salvare la capitale (Kiribati, JACOBS), e ancora chi rinnova l’impianto idrico per ridurre i danni da allagamento (Haiti RELIEF WEB).
Tuttavia, l’innalzamento delle acque non è l’unico problema peculiare dei SIDS. Oltre all’isolamento, questione che in quei luoghi esiste da sempre e che è al massimo stata esacerbata dalla recente pandemia di COVID-19, un altro grave problema è la riduzione della biodiversità. Per stati circondati dal mare e con pochissima terra emersa sfruttabile, il turismo e la pesca rappresentano la quasi interezza del PIL; di conseguenza, man mano che la fauna ittica si riduce la pesca diventa meno redditizia, e il turismo perde la sua attrattiva.
I governi SIDS sono alla costante ricerca di soluzioni per fronteggiare la crisi climatica e perseguono un’indefessa divulgazione del loro stato di fragilità, allo scopo di sensibilizzare la comunità internazionale e ottenere ulteriori fondi per l’adattamento.
ISLANDS BUSINESS: Durante la Climate Change Conference del 2021 (COP26), il ministro degli esteri Simon Kofe (Tuvalu) ha rilasciato una dichiarazione da un podio immerso per metà nell’acqua di mare. Il video è diventato virale, sortendo l’effetto desiderato. La COP26 è stato un punto di svolta per i SIDS, che hanno visto respinta la proposta sull’istituzione del Fondo sui danni e le perdite causati dagli eventi estremi legati al cambiamento climatico (Loss and Damage Fund), riuscendo però ad ottenere che rimanga aperto il dialogo in vista della prossima COP, in programma per il 2022 in Egitto.
Non è certo che la comunità internazionale riuscirà a incontrare in pieno le necessità emergenziali di questi stati insulari, e per ora non resta che osservare i prossimi sviluppi climatici e politici (due aspetti molto vicini dal punto di vista di un SIDS). In ogni caso, agli angoli mediatici della civiltà umana sorgono questi granelli di terra circondati dall’acqua; luoghi in cui gli effetti del cambiamento climatico, in molte altre zone del mondo non più che un’ipotesi, possono essere toccati con mano e devono essere arginati in ogni modo. Nella battaglia per la sopravvivenza di questi piccoli stati insulari è possibile forse intravedere un accenno del nostro futuro.
Scrive per noi
- Classe 1992, laurea in lingue e master in traduzione editoriale. In buona sostanza un nerd del linguaggio e della conoscenza, ha fin da piccolo la passione per la divulgazione scientifica (lo prendono ancora in giro per i VHS di Jacques Cousteau). A fianco al lavoro in ambito editoriale, scrive e allestisce spettacoli teatrali in cui parla di salute delle acque e tensioni geopolitiche. Nel frattempo, aspetta l’occasione di imbarcarsi su un veliero che raccoglie plastica.
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