Miriam Pierotti, la posidonia e le microplastiche

La ricercatrice Miriam Pierotti è vincitrice di uno dei premi della sesta edizione del bando Il Pianeta Azzurro, dedicato alle tesi specialistiche in biologia marina.

La ricercatrice Miriam Pierotti, intervistata da Andrea Puglisi, ci racconta il suo progetto di tesi, e condivide con noi speranze e aspettative per il futuro, tra esperienza di vita e ruolo della ricerca scientifica. Miriam è una dei premiati per la sesta edizione del bando de Il Pianeta Azzurro per tesi specialistiche in biologia marina.

IL PIANETA AZZURRO: Ciao Miriam! Conoscendo la missione del Premio “Il Pianeta Azzurro”, siamo sicuri che la tua tesi specialistica sarà stata piuttosto innovativa. Ci racconti di cosa trattava? Occhio perché questa domanda contiene una sfida: rispondere in termini sufficientemente “pop”, fruibili dai profani (ma appassionatissimi) di biologia marina!

MIRIAM PIEROTTI: Ciao Andrea. Va bene, ci provo: l’argomento era la distribuzione delle microplastiche nei posidonieti delle coste laziali. La posidonia è una pianta marina – non un’alga, come può sembrare – è una specie endemica del Mediterraneo, cioè tipica ed esclusiva del nostro mare.

L’idea di fondo del progetto era capire se le foglie della posidonia, che sono come filamenti lunghi e stretti, funzionassero involontariamente come una rete in grado di catturare le microplastiche. Allora abbiamo scelto dei luoghi di immersione vicino alle foci dei fiumi, collettori naturali di rifiuti umani, e abbiamo misurato la densità delle microplastiche al metro quadro. Il quadrato di campionamento che vedi in fotografia ci è servito per avere una misura di riferimento, e poter così confrontare sezioni diverse di una stessa prateria, o sezioni di prateria con sezioni scoperte.

L’ipotesi, che siamo poi riusciti a confermare, era che nei posidonieti la densità al metro quadro fosse più alta che in altri tipi di fondale: i posidonieti possono rappresentare delle aree di accumulo di microplastiche, e queste particelle, in quantità sufficiente, possono entrare in contatto con fauna e flora marina e/o rilasciare sostanze tossiche nocive all’ambiente.

PA: Beh, sfida superata direi! Pensavo avresti sorvolato su “endemica”, ma non ci sei cascata. Ora, ti sei iscritta al bando ormai un anno fa, ci racconti che cosa è cambiato da allora? Raccontaci questo tuo periodo, in cosa sei coinvolta, e qualche eventuale progetto futuro (accettiamo anche i desideri e le aspettative più sfrenate).

MP: È cambiato tutto [ride di consapevolezza]. Volevo continuare con le microplastiche, ma mi sono imbattuta in una borsa di dottorato in Nuova Zelanda, per una ricerca sui coralli neri (specie marine ancora poco comprese a livello globale). Mi hanno selezionata, e quindi eccomi qui, a Wellington, la capitale. Con le microplastiche non ho finito, ora stiamo provando a pubblicare la mia tesi. E poi il mio studio era solo la punta dell’iceberg [chiude gli occhi e sospira per un attimo, sembra contemplare l’immensità dell’argomento]. Ci sono tantissimi altri aspetti da considerare e che mi piacerebbe approfondire, come l’effetto che la posidonia spiaggiata e ricca di microplastiche può avere sull’ecosistema. Tra l’altro [e qua si accende improvvisamente], i turisti considerano le foglie morte di posidonia come un rifiuto che imbruttisce le spiagge, quando invece sono importanti residui naturali che proteggono la costa dall’erosione.

 

PA: Per finire, ci piacerebbe sapere un po’ delle tue esperienze subacquee. Passione o necessità, amore d’infanzia o scoperta dell’età adulta? E qual è il ricordo più bello che hai riportato a casa dal mondo sommerso?

Sono nata in una famiglia di appassionati di mare. Mio padre, soprattutto. Mi ricordo benissimo la prima immersione in apnea con lui. Eravamo a Santa Marinella, una località turistica e non particolarmente nota per il paesaggio sottomarino. Non mi aspettavo nulla di che, invece, lì sotto, c’era un piccolo reef pieno di vita: ricordo lo stupore che ho provato a essere lì, circondata dai pesci [Il tono di voce è, in effetti, ancora stupefatto].

Poi la passione è cresciuta, è diventata necessità. Ho seguito dei corsi, preso i miei brevetti, e ora sono anche istruttrice.

Sottacqua è il mio posto preferito, ecco. In parte credo sia perché è un ambiente mutevole, tanto che immergersi due volte nello stesso punto non è mai uguale, e non si sa mai come sarà la volta successiva.

A questa mia esperienza si è poi aggiunta la formazione scientifica, che altro non è che il domandarsi il perché delle cose. Stando sott’acqua ho incontrato molte domande che non avevano una risposta facile, la ricerca è per me un modo di trovare risposte convincenti. Spero possa servire anche a mandare un messaggio positivo alle persone, stimolare il desiderio di cambiamento tramite la conoscenza. So che spesso la scienza viene percepita come portatrice di malanovella, ma non dev’essere per forza così. Per me non lo è stato.

In questo senso, scienza e giornalismo non sono poi così diversi. Si tratta di comprendere un pezzetto di realtà il più a fondo possibile, per poi riportare in superficie i risultati e raccontarli, anche qui, al meglio che si può. Siamo senz’altro in due a sperare nell’utilità della diffusione di contenuti. Grazie delle tue parole, Miriam! Ti auguro di proseguire al meglio i tuoi progetti di ricerca e ti faccio gli ultimi complimenti per la vittoria del bando.

Grazie a te della bella chiacchierata, a presto!

Scrive per noi

Andrea Puglisi
Andrea Puglisi
Classe 1992, laurea in lingue e master in traduzione editoriale. In buona sostanza un nerd del linguaggio e della conoscenza, ha fin da piccolo la passione per la divulgazione scientifica (lo prendono ancora in giro per i VHS di Jacques Cousteau). A fianco al lavoro in ambito editoriale, scrive e allestisce spettacoli teatrali in cui parla di salute delle acque e tensioni geopolitiche. Nel frattempo, aspetta l’occasione di imbarcarsi su un veliero che raccoglie plastica.

Andrea Puglisi

Classe 1992, laurea in lingue e master in traduzione editoriale. In buona sostanza un nerd del linguaggio e della conoscenza, ha fin da piccolo la passione per la divulgazione scientifica (lo prendono ancora in giro per i VHS di Jacques Cousteau). A fianco al lavoro in ambito editoriale, scrive e allestisce spettacoli teatrali in cui parla di salute delle acque e tensioni geopolitiche. Nel frattempo, aspetta l’occasione di imbarcarsi su un veliero che raccoglie plastica.

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